nonsolo15 Associazione Sindrome Dup15q APS
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La storia di G.

La storia di G. La storia di G. ha inizio quando ancora aveva 6 mesi. Purtroppo io non mi ero accorta di niente. E’ stato mio marito ad iniziare a notare che c’era qualcosa che non andava. Da lì inizia il nostro lungo cammino. Siamo andati subito dalla pediatra che ci mandò dal neurologo. Siamo rimasti con lui per 2 mesi e in seguito abbiamo deciso di andare al “Gaslini di Genova”.Abbiamo fatto diversi ricoveri, eravamo più in ospedale che a casa. Arrivò la diagnosi e nonostante tutto non sapevo niente della malattia.Peppe quando aveva 4 anni fece 20 passi da solo. In quel periodo stava meglio, non aveva convulsioni. Ma purtroppo la nostra felicità durò poco. Peppe ha avuto diversi periodi di alti e bassi a causa delle convulsioni ed è regredito da un punto di vista motorio.Da 2 anni e mezzo siamo sotto cura del Dott. Elia. Abbiamo provato quasi tutti i farmaci. Speriamo un giorno di trovare un farmaco che lo aiuti a curare le crisi. In questo momento sta comunque molto meglio.Lottiamo tutti i santi giorni per lui, speriamo un giorno di poterlo vedere camminare.Siamo molto contenti di aver scoperto l’associazione, con la speranza di saperne sempre di più sulla malattia e di poterci aiutare a vicenda.

La storia di C.

La storia di C.  C. è nata l’11/12/2001, terzogenita dopo due fratelli maschi, e due nipoti maschi: la femmina tanto desiderata!!!! Il pensiero di una figlia femmina mi elettrizzava… La gravidanza è andata benissimo, io mi sentivo un leone, oltretutto avevo altri due bimbi da seguire, di cui il secondo di solo un anno(!!). C. ha fatto subito “parlare di sé”; subito dopo il parto non l’ho potuta vedere. Mi dicevano che faceva fatica a scaldarsi , e poi che aveva ancora i polmoni “umidi”; dunque facendo sforzo sul mio fisico appena “ricucito” il terzo giorno sono riuscita a vederla così piccola e carina nella sua culla termica e mi fece una gran tenerezza li dentro, tutta sola. I primi due mesi sono volati, quello che mi ricordo è che era lentissima a mangiare, e dormiva molto, e questo mi faceva solo molto spazientire, presa com’ero da altre mille cose anche con gli altri due bambini . Sicuramente io ero anche molto stanca, il nostro secondogenito era un terremoto in casa, e dunque, a parte tenerla sempre in mezzo ai suoi fratelli sul suo seggiolino, non mi ricordo molto di quello che faceva o non faceva. A tre mesi ebbe un primo importante raffreddore e la pediatra ci ha consigliato di ricoverarla per una bronchiolite. All’Ospedale Bambin Gesù di Roma, in quella prima visita, i medici hanno subito riscontrato un ipotonia: la bambina non reggeva la testa e non faceva forza con le braccia. Ci consigliarono semplicemente di tenerla a pancia sotto ….ma io come spesso succede alle mamme, e dopo aver avuto l’esperienza con gli altri due figli, ho intuito che la cosa doveva essere affrontata meglio. Non sto a raccontare tutti i giri di medici che abbiamo dovuto fare. Diciamo che, non avendo avuto, né a Roma né in altri centri, alcuna diagnosi, ci siamo concentrati più sull’aspetto riabilitativo, pensando che il tutto si sarebbe risolto “presto”. Contattai una amica che lavorava al Don Gnocchi di Roma, dove C. iniziò a fare psicomotricità all’età di cinque mesi. Nel frattempo però le sue stranezze si allargavano: C. non seguiva con lo sguardo gli oggetti, anche se molto colorati e non riconosceva le persone. Sono stati mesi di angoscia, il suo problema invece di risolversi si stava allargando su più fronti: cognitivo, relazionale e del linguaggio. Ci hanno aiutato molto in quei primi anni due persone: una bravissima pediatra che, mi ha elargito molti consigli utili, e una bravissima ragazza rumena che ha vissuto con noi per quattro anni ed è diventata per tutti noi una zia, sorella, amica. Sono stati, quelli anni, frenetici: accompagni, riprese, chi scuola calcio, chi nuoto, chi da una parte chi dall’altra, visite mediche di routine per i fratelli (anche con qualche corsa al Pronto soccorso! ) il tutto condito con visite e ricoveri a C.. Questa ragazza ha stabilito con C. un rapporto fantastico, e ciò ci ha permesso di seguire con uguale intensità anche gli altri due figli, che erano comunque ancora molto piccoli. Non abita più con noi, ma tuttora è l’unica persona che ha il “coraggio” di ospitare per un weekend i nostri tre ragazzi e lasciare a me e mio marito un po’ di libertà. Su insistenza della neuropsichiatra, però nel 2007 abbiamo ripreso la ricerca diagnostica, insistendo sui genetisti dell’ospedale di Roma, che sostenevano che C., nonostante i suoi dimorfismi, non avesse un problema genetico. Solo nel 2009 abbiamo avuto la diagnosi di una duplicazione sul braccio lungo del cromosoma 15. Aver messo un punto definito alle “stranezze” di C., aver trovato una causa a tutto ciò, non ha cambiato molto il nostro modo di vivere, interagire e lavorare con lei. Sono un’insegnante e questo mi porta a pensare che le è servito molto stare in mezzo ad altri bambini, che l’hanno accolta e affettuosamente si sono accostati a lei nel tempo, insegnandole molte cose . E’ a scuola da quando ha 18 mesi, prima ad un asilo nido (sono riuscita a fare una sorta di GLH anche lì!!!) poi alla scuola materna (molto poco produttiva). A sette anni ha iniziato a frequentare la scuola Primaria; con un team molto attento e capace, è riuscita ad integrarsi bene con la classe… e ha potuto partecipare al suo primo campo scuola con compagni e maestre, senza mamma e papà … un successone!!!!!!! Il clima di accoglienza che C. ha trovato nella scuola Primaria è stato molto positivo, ma anche noi abbiamo contribuito in questo, organizzando dei pomeriggi a casa con le sue amichette, organizzando festicciole e serate in compagnia. Il lavoro a casa e a scuola ci ha permesso di farle raggiungere anche degli importanti obiettivi cognitivi e di autonomia. Siamo riusciti ad insegnarle anche a fare la pipì al bagno. Ma solo dopo lunghi anni in cui, per aiutarla, ci trascinavamo dietro un riduttore adattabile a tutti i wc e anche, quando andavamo a fare passeggiate, alle rocce della montagne (!!!). Per non parlare della prima lettura del suo nome e del nostro!!!! C. era ed è una bambina per lo più allegra serena e tranquilla, amata molto da tanti!! Ha cominciato a riconoscere bene le persone che le stavano più vicino, elargendo sorrisi e abbracci che ti aprono il cuore. Ci ha sempre rallegrato il suo sorriso e i suoi piccoli progressi sono stati sempre festeggiati con una gioia immensa. Sembrerà cinico, ma ci ha positivamente stupito anche quando, all’asilo ha cominciato a piangere quando io la lasciavo, urlando il mio nome … per poi corrermi incontro quando tornavo a prenderla anche solo riconoscendo la mia voce!! … chi ci è passato sa che grande conquista è questa.. Per non parlare di quando a 22 mesi ha cominciato a camminare!!! Spesso tutto questo entusiasmo ha gettato un po’ di ombra sui fratelli e soprattutto sul fratello più piccolo, che proprio per questa nostra felicità per i piccoli progressi della sorella, si è sentito a volte un po’ messo da parte: questo è l’unico rammarico di tutta la

La storia di Fiamma

La storia di Fiamma trattava di un problema genetico, ma hanno supposto più che altro problemi metabolici. Le hanno fatto molte analisi metaboliche che ovviamente sono risultate sempre negative. Per fortuna però, visto che la sua ipotonia era piuttosto importante, già all’età di sette mesi F. ha iniziato la riabilitazione neuro-motoria e credo che questa sia stata la sua fortuna. Abbiamo passato diversi mesi nell’incertezza, senza riuscire a capire cosa avesse nostra figlia: continuava a non muoversi, non afferrava nulla con le mani, e continuava a non essere interessata a niente, neanche a noi! Casualmente poi, visto che i medici non riuscivano a venirne a capo, le hanno fatto fare alcuni prelievi per diversi esami genetici. Così, quando aveva dieci mesi, siamo riusciti ad avere la diagnosi. Purtroppo, però, quando ci hanno riferito cosa aveva nostra figlia, i medici non sono stati né precisi né esaustivi: non ci hanno spiegato esattamente che cosa fosse questa sindrome, non ci hanno esposto la sua importanza e gravità e, tanto meno, quanti e quali problemi F. (e noi come genitori) si sarebbe trovata ad affrontare. Desideravamo saperne di più e abbiamo iniziato a cercare informazioni, ma è stato molto frustrante rendersi conto che non c’era divulgazione, soprattutto in italiano, e che neanche i medici che seguivano F. erano preparati sulla sua sindrome. Dopo diversi mesi di ricerche, siamo riusciti a trovare alcuni articoli scientifici del Dr. Battaglia che spiegavano bene questa sindrome. Così lo abbiamo contattato e finalmente siamo riusciti ad avere risposte a domande a cui nessuno fino a quel momento aveva saputo rispondere. Ci siamo resi conto di tutti i problemi a cui F. andrà incontro. Naturalmente è stato un momento difficile: sembra quasi impossibile per un genitore accettare la disabiltà del proprio figlio. Ma, ormai dopo tanti mesi, possiamo dire che è stato fondamentale perché ci ha dato la forza di reagire di fronte a qualcosa di finalmente conosciuto e soprattutto di condividere la nostra esperienza anche con altre famiglie. Adesso F. ha quasi quattro anni. Ha iniziato ad avere le sue prime crisi epilettiche da quando aveva un anno, ma per il momento, dopo diversi tentativi, le crisi sono sotto controllo. Continua la riabilitazione psico-motoria tre volte a settimana, inizierà presto a fare logopedia, e frequenta l’asilo, fondamentale per il suo sviluppo relazionale. Soltanto adesso ha iniziato a camminare, ma ancora non ha sviluppato le competenze di una bambina della sua età. Ha fatto tantissimi progressi ed ogni piccolo obiettivo raggiunto è per lei (e per noi) una grande conquista: finalmente si gira quando la chiamiamo per nome, inizia a chiamare “mamma” e “papà”, è interessata al mondo che la circonda, ai suoi giochi, a suo fratello, cerca il contatto fisico con le persone e, anche se non parla, comunque a modo suo comunica i suoi stati d’animo, ride quando è contenta, quando la chiamiamo e le parliamo perché adesso finalmente ci riconosce, e si arrabbia quando non riesce a fare qualcosa. Inizia anche a sviluppare il senso del pericolo e questo aiuta anche noi genitori ad essere un po’ più tranquilli. E’ una bimba molto tenace e testarda e ciò sicuramente la aiuta nel suo processo di acquisizione e di crescita. Sicuramente F. dovrà fare un lungo cammino, e noi insieme a lei: non sappiamo dove arriverà, se parlerà, se riuscirà ad andare al bagno da sola, a mangiare da sola, a giocare come e con gli altri bambini… Ma quello che F. ci ha insegnato è che si può essere felici anche se si è “diversi”, che la felicità non è una sola, la nostra, ma esiste anche la sua di felicità, quella di F., anche se a volte è difficile da comprendere e, soprattutto, da accettare. F. è una bambina serena, che sorride e il suo è un sorriso meraviglioso, è un sorriso che illumina il mondo perché è innocente, viene dal cuore, dai suoi occhi scuri ed espressivi; è un sorriso spontaneo, sempre sincero, ed ogni giorno ci regala la gioia di averla accanto! DOPO 8 ANNI… “Ho imparato che bisogna fingere di accettare la malattia come qualcosa che ci integra e ci appartiene, alla stregua di un prolungamento dei nostri corpi, una cerimonia consacrata, dunque, capillare ed incessante, un codice casalingo radicato nei nostri gesti.” (C. Samonà, “Fratelli”). a distanza di otto anni, posso dire di aver osservato F. per ore, giornate, mesi, anni… E’ bella, strana, diversa, divertente, acuta, ostinata, dolce, ma soprattutto lei è FELICE. E allora, a chi appartiene davvero questo dolore che ti apre il cuore? Oggi so che è soltanto mio, appartiene soltanto a me; è sempre accanto a me e dentro di me, serpeggia meschinamente e si annida negli angoli più nascosti della mia mente, dei miei pensieri, delle emozioni, del mio mondo cosciente e non cosciente, dei miei sogni.Essere mamma di una figlia disabile… E’ amore puro, incontaminato, completamente scevro da aspettative, un vuoto a perdere che instancabilmente continuo a riempire di attenzione, cura, protezione, dolcezza. E tutto questo mi rende forte, potente, una leonessa in grado di affrontare ogni cosa per lei; e al tempo stesso sono cristallo, fragile, vetro così sottile e delicato che alla più piccola scossa si incrina. Ma magicamente sembra non rompersi mai.Dopo 8 anni in cui si sono avvicendate guerre intestine tra emozioni, dall’incredulità alla rabbia, dalla disperazione all’accettazione, dalla felicità, spesso indotta, alla speranza di poter vivere una vita normale, quello che oggi sto veramente imparando è il valore della rassegnazione: questo mi rende lucida, mi permette di vedere F. per quello che davvero è, e non per quello che forse, se faccio, se vedo, se provo, potrebbe diventare. E ogni relazione si sistema, si “aggiusta”, trova una sua collocazione, il suo spazio, il suo pieno e il suo vuoto: è un dato perentorio e assoluto, perché F. altro non può essere. Non è arrendevolezza: per lei scalo le montagne, porto pesi più grandi di me e affronto i draghi, il loro fuoco. La rassegnazione è il dono che

La storia di F.

La storia di F. F. è nato il 18/08/1997 ed è il mio secondogenito. Sua sorella F. è di soli 20 mesi più grande di lui. Nei suoi primi mesi di vita, so di aver toccato le stelle e mi pareva davvero di camminare sollevata da terra. Ricordo anche – come un triste presagio – che avevo timore per tanta felicità; mi sentivo una regina e oggi penso che, così felice, non sono mai più stata. A circa sei mesi e mezzo durante una visita medica di routine la nostra bravissima pediatra rilevò un’inaspettata e leggera ipotonia e mi disse che le sembrava che F. avesse rallentato il suo sviluppo psicomotorio. Ci congedammo senza particolare apprensione, solamente consigliandoci di metterlo a terra più a lungo osservando il suo rotolamento. F. rotolava e giocava anche se non gli piaceva stare prono nè era in grado di mettersi a sedere da solo. F. era seguito anche da un altro pediatra, primario del Policlinico universitario, che non aveva notato nulla di anomalo fino ad allora, ma ormai la mia favola era finita, ero in ansia, mi interrogavo su cosa volesse dire quella dottoressa e su cosa ci stesse succedendo. Interpellammo di nuovo il primario, speranzosi che ci rassicurasse, ma in quella visita F. non rispose alle solite sollecitazioni prensili e motorie ed il luminare ci disse che qualcosa stava veramente succedendo e ci consigliò un approfondimento neuropsichiatrico a Napoli ed eventualmente anche un altro consulto a Siena presso un centro per l’epilessia. Dai tracciati che furono fatti al bambino e dalla visita dello specialista uscimmo più che incoraggiati: non c’era niente! Ma il sereno durò poco, io e Mario, mio marito, non avevamo già più pace. Il bambino era agitato, ripetemmo gli esami e da essi emerse la presenza di un disturbo neurologico. Fu allora che realizzammo la situazione e i pericoli che F. stava correndo se non fosse stato adeguatamente curato. E’ cosi che iniziò la nostra battaglia contro l’epilessia e contemporaneamente la ricerca della diagnosi trovata quasi per caso e comunicataci nello sconcerto e incoscienza di noi tutti: “Inversione e duplicazione del cromosoma 15”. Oggi (aprile 2009) F. non ha crisi da lungo tempo e non assume più farmaci da quando aveva 4 anni. Ricordo che i medici non sapevano dirci se F. avrebbe camminato, parlato o quant’altro. F., è il secondo di quattro figli e ringraziando Dio, cammina e parla, anche se con un linguaggio semplice, comunica in tanti modi, in tutti quelli possibili, le sue emozioni, turbamenti ed anche e soprattutto le sue frustrazioni. La sua crescita è stata allietata dalle sue piccole e continue conquiste, dalla sua voglia di farcela, dal continuo affidarsi a noi, ma soprattutto ai fratelli. La sua normalità negata a cui anela è il suo più grande motivo di sofferenza. F. guarda con grande affetto suo fratello minore Fabrizio – di 17 mesi più piccolo – è lui il “maestro” da imitare, il maschio di riferimento per i giochi , le scelte ed i gusti, così come non smette mai di nominare e cercare Maria Flaminia l’ultima e amata sorellina di appena 2 anni. In mezzo a tanto caos mi sembra che comunque sia sereno e questo tante volte mi basta.

La storia di Luca

La storia di Luca Luca è nato a Castelfranco Veneto in provincia di Treviso il 15 Aprile del 2004 ed io sono il suo papà, con orgoglio e piacere sono quindi parte integrante della sua meravigliosa storia. L’attesa della sua nascita è stata serena e allietata dal nostro primogenito Lorenzo (nato nel 2000) che non vedeva l’ora di conoscere il suo fratellino.Il travaglio ed il parto sono stati entusiasmanti come solo un papà può capire e con tutto il doveroso rispetto per le mamme che in quei momenti hanno altro a cui pensare… Ricordo persino divertito che la sua venuta alla luce è stata “esplosiva” con presa in due tempi della brava ostetrica, insomma tutto da copione fino a quando intorno ai tre mesi di vita l’unicità di Luca ha fatto capolino. Ecco appunto, da un certo momento in poi la storia di L. non ricalca più gli standard evolutivi “normali”, gaussianamente intesi. Ma cosa sono in fondo le aspettative di vita che ognuno di noi fantasiosamente inventa ed auspica per se stesso e i propri cari? Forse la vostra stessa vita fin qui spesa ha ricalcato il copione in gioventù agognato? Privo di sconfitte, malattie o sfortune?Probabilmente invece di tanto in tanto costellato da episodi più o meno fortunati ma comunque non previsti. La vita di L. è altra cosa, appartiene ad un altro ordine di idee. La voce di L. è un soave silenzio che parla di semplicità e tenerezza, hanno un suono solo le espressioni di bisogno come la fame o la sete o il dolore per le frequenti otiti o il desiderio di essere portato fra i suoi amati giocattoli. Le risa di Luca sono coinvolgenti, spesso nascono da carezze e coccole che lui adora o dal bisbigliargli all’orecchio qualche parolina. Per lui il solletico appena abbozzato è motivo di grande ilarità che ci apre il cuore. Lo sguardo di L. è birichino, non lo trovi mai al suo posto. Un momento potresti dire di averlo catturato ma se subito apri le mani ti sfugge fra le dita e lo ritrovi oltre te stesso a scrutare la finestra alle tue spalle, puoi provare a frapporti ad essa ma stai certo che la lampadina appesa al soffitto risulterà per lui più interessante del tuo viso… e non puoi far altro che notare la bellezza dei suoi occhi sfuggenti e perderti in quella splendida tonalità di marrone. La pelle di L. è quanto di più delicato e vellutato io conosca. Ritengo che la quantità di baci che essa gli procura da parte delle persone che lo conoscono sia davvero notevole. In tutto il suo corpo la pelle ha solo due “imperfezioni” il che potrebbe anche dirsi un record. Una di esse è un neo sotto al tallone destro e la seconda è una piccola cicatrice appena sopra al sopracciglio sinistro in ricordo di una crosticina da varicella che suo fratello Lorenzo non ha resistito alla tentazione di strappare. Le braccia di L. sono leggere ed hanno forza a sufficienza per sostenere dei giocattoli o il biberon, quando abbracciano me però sono capaci di un vigore ed un’energia smisurata e mi trasmettono tutto l’amore di cui ho bisogno. Le gambe di Luca sono esili e sostengono il peso del corpo per alcuni secondi. Una volta in un documentario, vidi la nascita di un piccolo cerbiatto che subito tentò di ergersi in piedi per la prima volta, stentando in un precario equilibrio. Le gambe di L. sono come quelle di quel piccolo cerbiatto. L. adora mangiare i croissant alla marmellata, il riso al burro e la minestra di verdura che cucina la nonna. L. mi ha insegnato l’umiltà, la gioia per le cose che abbiamo e che possiamo fare. Luca mi ha insegnato il valore della rinuncia e della privazione, i limiti del sistema e la dignità di chi vive ai margini. Grazie a Luca ho conosciuto altri meravigliosi bambini “fuori standard” e le loro famiglie. Quante cose mi ha insegnato L., e pensare che ha solo 4 anni…

La storia di Fabio

La storia di Fabio Questa è la storia di Fabio, che è anche la storia nostra. F. è il nostro secondo figlio, nato nel 1993, da noi voluto con tutto il cuore, anche se non eravamo più tanto giovani. Il nostro primo bambino era nato quasi due anni prima. La gravidanza e il parto di F. sono andati senza nessun problema, passati quasi inosservati, visto che la vita di tutti i giorni era già abbastanza piena con il fratellino. I problemi per me sono iniziati subito dopo il parto: al secondo giorno di vita me lo hanno portato via in un altro ospedale, perché qualcuno aveva visto qualcosa che poteva essere una crisi epilettica. E’ rimasto là per dieci giorni, lo vedevo attraverso la finestra, sul suo lettino con flebo e vari fili attaccati, e non me lo facevano allattare. Poi me l’hanno ridato come un bambino sano, ed io ci credevo. Gli occhi di una mamma qualche volta sono ciechi: F. era un bambino particolarmente immobile e silenzioso, quasi assente, e il suo sviluppo già dai primi mesi era fuori dalla norma. Ma soltanto quando il nostro pediatra e anche gli amici insistettero, cominciai a reagire, e iniziò l’odissea infinita dai dottori. Nell’ospedale dove era stato ricoverato subito dopo il parto lo hanno misurato, pesato, lo hanno fatto anche vedere alla fisioterapista, ma non sono stati subito in grado di capire il carattere e la causa del suo ritardo. Il risultato positivo delle ricerche genetiche non mi è mai stato comunicato a causa di un disguido all’interno dell’ospedale. Nel frattempo però, fortunatamente per F., noi ci siamo mossi per conto nostro. A otto mesi circa ha iniziato la riabilitazione psicomotoria, che indipendentemente da qualsiasi possibile diagnosi ha stimolato F. a prendere contatto con il mondo intorno a lui. Grazie a questo aiuto ha iniziato non solo a sviluppare la parte fisica, vincendo l’ipotonia, ma anche a percepire che esisteva il mondo, incluse le altre persone. F. ha iniziato a frequentare l’asilo prima possibile, con una persona di sostegno tutta per lui, faceva ippoterapia e musicoterapia. A quattro anni ha iniziato a camminare. E ha iniziato a rispondere anche ad un sorriso. Ci siamo impegnati a capire di che cosa avesse bisogno e come comprenderlo. Giocavamo e ridevamo con lui quando era possibile, e lo confortavamo, quando era frustrato è in genere perché non capivamo quali erano i suoi bisogni. Lui non chiedeva mai tanto, solo cose di base, e cresceva come un piccolo ragazzo felice. A quattro anni e cinque mesi sono iniziate le crisi epilettiche. Scossi nella nostra routine di tutti giorni lo abbiamo portato in un altro ospedale, cercando persone più competenti e più serie. Gli accertamenti furono rifatti, e fu fatta anche una valutazione generale delle sue capacità, sia fisiche, sia mentali ed emozionali. Noi potevamo parlare con dei medici che vedevano F. come una persona intera e complessa, sotto ogni punto di vista, valutando sia il lato caratteriale proprio di F., sia quello legato alla sindrome. Sono stati in grado di mettere tutto questo anche in relazione con noi. Là abbiamo trovato le prime e scarse informazioni sulla sua sindrome. Aveva quasi cinque anni quando ci hanno comunicato la diagnosi. F. ha avuto la fortuna di poter frequentare un centro di alto livello nella riabilitazione e terapiste non solo ben specializzate ma anche di grande umanità verso i ragazzi. Ma nonostante tutti gli impegni e tutti gli sforzi, i progressi di F. bisogna vederli con tanta pazienza (e delle volte ci vuole anche una lente di ingrandimento…). F. ora ha più di 14 anni, è in piena pubertà, alto quasi come me, e delle volte più forte. Porta sempre il pannolone e non parla. E’ rimasto una sfida capirlo. Lui ora cerca il contatto con noi, e sa essere molto affettuoso, anche se le sue carezze possono essere delle volte pesanti. Gli piace arrampicarsi dappertutto, adora la musica e correre. Il suo giocattolo preferito è l’acqua. In tutto questo F. è sempre rimasto una persona abbastanza felice e contenta con poco. Delle volte mi sembra che sono più io quella turbata: sofferente perché le aspettative che avevo io per lui non saranno realizzate; nel non accettare quello che per lui è la normalità, nel chiedermi cosa sarà del suo futuro quando non ci saremo più, nel dispiacermi per le cose che lui non potrà mai fare o avere: innamorarsi, studiare, creare una propria famiglia… Ci vogliono nuovi goal nella vita con lui. Ma sono anche cresciuta insieme a lui. Ora so che F. non è una parte di me, ma che ha la sua propria vita, della quale io sono responsabile solo fino a un certo punto. Farà il mio meglio, e questo comprende anche cercare di stare bene, se non altro per essere all’altezza di sostenere lui. Prenderà per me quello che lui mi sa insegnare: che la vita non finisce, se tu hai un bambino speciale, ma continua, solo diversamente. Che ci sono tante persone belle in questo mondo, che ti aiuteranno, e che tu diventerai più forte. Che niente nelle vita è scontato, e che va bene chiarirsi la mente da tutte le cose superflue e vuote, per fare posto ad esperienze importanti che ti fanno crescere.

Raccontare il volontariato

Raccontare il volontariato Una testimonianza La solidarietà non è una strada a senso unico ma a due corsie, una di andata e una di ritorno. Contrariamente all’assistenza ed alla beneficenza, la solidarietà rinvia ai vincoli condizionali delle relazioni sociali ed alle regole del contesto. Questo termine richiama quindi la necessità di una cultura della regolazione sociale legata non solo allo spazio fisico del territorio, ma anche al luogo nel quale si declinano le relazioni sociali e se ne costruiscono i significati. Il volontariato è la giusta declinazione della solidarietà ed un esempio di cittadinanza attiva, dove uomini e donne si spendono a favore del bene-essere della comunità. E nel volontariato si intrecciano storie e vita di tutti noi. Si sceglie un’associazione perché si condividono gli obiettivi in particolare se si è vissuto o si vive un’esperienza che ci accomuna. Credo che niente succede a caso, il mio incontro con “nonsolo15” ha aperto una finestra su un mondo che fino ad allora non conoscevo e che solo adesso inizio a capire. La particolarità di “nonsolo15” è che lavora su due importanti binari; il sostegno alla ricerca in cui gli aderenti all’Associazione non sono spettatori ma attori attivi nel confronto con il mondo scientifico e la raccolta fondi, e l’altro importantissimo la rete delle famiglie in un confronto delle problematiche e in uno scambio di informazioni che possono essere utili a tutti. Il meeting di Palermo, più di quello di Triuggio a cui lo scorso anno ho partecipato, mi ha dato la possibilità di stare di più con le famiglie e soprattutto con i ragazzi e le ragazze. Poter vivere il quotidiano delle famiglie e il modo in cui affrontano ogni giorno. Ho osservato molto come si muove questa comunità, unita da un problema sconosciuto ai più, la forza e il coraggio con cui ogni giorno guarda oltre la sofferenza e lotta in modo determinato e consapevole perché siano riconosciuti i diritti dei nostri “ragazzi speciali”. Forse questa determinazione a lottare per i diritti ci accomuna, ho imparato molto. Vi ringrazio per avermi accolta, per i sorrisi e gli abbracci che i vostri ragazzi mi hanno regalato e adesso ..buon lavoro anche per me!

Lettera a mio figlio

Lettera a mio figlio Oggi è il tuo sedicesimo compleanno. Vorrei farti i migliori auguri possibili. Cerco di abbracciarti, ma come al solito non ti piacciono gli abbracci delle persone, solo quelli che fai tu. Mi stringi di dietro, afferri i miei capelli con i tuoi denti e tiri. Un attimo ti lascio fare, non ti voglio respingere. Poi sento il bagnato sul collo, mi giro e cerco di liberarmi. La tua festa oggi sarà diversa dai compleanni di altri ragazzi della tua età. Non mi dici cosa vorresti come regalo. Non hai amici che possiamo invitare. Quando stasera mangeremo la pizza insieme con le persone che si prendono cura di te, forse sarai già a letto. Per te sarà un giorno come qualsiasi altro. Avevo delle idee diverse sul percorso della tua vita. Certo, non ne ero cosciente, ma avevo un piano ben preciso per te: Dovevi avere due mani e saperle usare, due piedi che ti portavano ad esplorare le vie vicine e lontane, due occhi per vedere il mondo e una testa per capirlo e trovare la tua strada. 16 anni fa ti hanno messo sulla mia pancia appena nato,e tu hai preso il mio latte. Eri così calmo, anche quando ti hanno portato da me e ti ho infilato accanto nel letto dove dormivi finché le infermiere non sono venute a cercati. Però in quel primi giorni è rimasto poco tempo per stare insieme e conoscerci. Potevo solo guardare quando ti hanno portato via in un altro ospedale, in quella culla di vetro, con un ago nella testa. C’è voluta mezz’ora per poterti trovare in quell’altro ospedale, e solo per vederti da dietro il vetro, nudo sotto una lampada, con le mani legate per non farti del male, un filo di qua e di là. “Signora, non le posso dire niente per ora, Lei può anche tornare a casa. Ci vorranno diversi giorni per tutti gli esami. No, non può allattare, il latte lo diamo noi, no, alle mamme qui non è permesso entrare”. Sono rimasta. Mi sono tirata il latte per farlo dare a te e per non perderlo. Non sono mai stata così male come in quella settimana. Non mi illudo che la mia pena fosse per te. Tu eri ancora una parte di me. Il mio dolore era per quello che stava succedendo a me. Poi ti ho portato a casa come sano, senza nessuna diagnosi. Chi sa se nel fondo del mio cuore sapevo che non era vero. Volevo credere a quello che mi dicevano. E loro, quando finalmente è arrivato il risultato dell’esame genetico, non mi hanno detto niente. Lo hanno semplicemente perso per la strada. La persona che finalmente mi ha costretta ad aprire gli occhi era quasi una sconosciuta per noi. Grazie a lei ti abbiamo portato da altri specialisti, e grazie a loro hai iniziato il tuo percorso dell’ abilitazione così presto. Infatti, loro sapevano già fare una diagnosi, senza tanti esami, solo osservandoti: “Questo bambino ha dei problemi gravi nel funzionamento del cervello.” La tua nonna tedesca era tutta pazza di te. Mi faceva una rabbia quando diceva: “Vedrai, non è niente, è solo un po’ più lento, ci sono bambini così. Goditelo, finché è così piccolo e indifeso.” La paura che ci fosse qualcosa di grave in te l’ha fatta diventare cieca davanti all’evidenza. In genere, quando i figli crescono, i genitori hanno il tempo per staccarsi lentamente dalle loro aspettative. Volevano uno che facesse il dottore, invece ha smesso la scuola superiore e ora lavora come giardiniere. Volevano una ragazza sportiva, invece è diventata sovrappeso e non c’è verso di farla mangiare meno. Volevano uno che fa carriera, invece ha avuto un bambino a 17 anni e ora deve lavorare per tirare avanti. Qualunque fosse stato il mio progetto per te, quando avevi 6 mesi l’ho messo da parte per sempre e ho cercato di camminare verso nuove mete. Mete molto più piccole, ma nello stesso tempo grandi come le montagne. Farti sedere senza aiuto. Farti girare la testa quando sentivi chiamare il tuo nome. Farti guardare nei miei occhi. Staccarsi dal mio progetto sulla tua vita è stata molto doloroso. Ma lo dovevo fare per vederti come sei. Non avrei potuto aiutarti nel tuo cammino senza accettarti per quello che sei. Se rimanevo attaccata alla mia immagine del bambino perfetto non avrei potuto accompagnarti su questa tua strada. Il dolore però era il mio, ed è rimasto mio. Tu eri e sei tranquillo e felice come sei. Non ti sei mai chiesto come sarebbe se fossi diverso. Non ti misuri con gli altri. Ti sei accettato fin dall’inizio per quello che sei. In questo sei molto più bravo di me. Infatti, mi chiedo, se non sono io quella che soffre di più in tutto questo. Che vedo quello in cui non riesci. Che ho paura pensando a cosa ne sarà di te quando non ci saremo più noi. Fin da piccolo hai sempre voluto arrivare in alto. Non gattonavi, ma ti tiravi su al radiatore per dondolare in piedi. Appena ti sentivi più sicuro cominciavi a buttare giù le seggiole. Che rumore forte riuscivi a produrre così! Ridevi di contentezza e non ti importavano le nostre grida. Chissà se per te era una specie di applauso in ogni caso cercavi subito il prossimo oggetto da buttare. Poi scoprivi il tavolo. Quando avevi imparato a starci sopra battevi i piedi e – terrorizzando gli eventuali spettatori inesperti – ti giravi come una trottola. Non siamo mai riusciti a farti smettere di andare sopra il tavolo, era troppo divertente per te. Ora forse è diventato un po’ noioso, allora ti limiti a starci in piedi sopra e fare impronte con le mani sul soffitto.. Se trovavi una scala la dovevi salire in tutti modi. Forse avevi un programma di allenamento segreto che seguivi con così tanta ostinazione: Lo facevi su quattro zampe, da seduto, camminando indietro; e poi la dovevi scendere, anche questo in tutti

Novità nella ricerca per il controllo dell’epilessia nella Dup15q

Novità nella ricerca per il controllo dell’epilessia nella Dup15q Con grande speranza ci appoggiamo alla ricerca realizzata dal dott. Larry Reiter negli Stati Uniti, il quale utilizzando la mosca drosofila ha ottenuto dei risultati positivi in vitro. Partendo da tali risultati stiamo collaborando a due nuove ricerche:– È partita la collaborazione con l’Università di Torino (prof. A. Brusco e dott.ssa V. Pullano), l’Istituto scientifico Eugenio Medea “La Nostra Famiglia” di Conegliano (dott. A.Danieli) ed il Dipartimento di Neurofisiologia Clinica dell’Università di Twente, Olanda (Dott.ssa M. Frega). Grazie alla donazione di materiale biologico delle nostre famiglie, il progetto prevede la produzione di cellule staminali pluripotenti (Neurolentech, Klosterneuburg, Austria) e quindi cellule neuronali da pazienti con la sindrome Dup15q che consentiranno di testare il funzionamento di diverse molecole/farmaci sull’epilessia nella Dup15q;– In collaborazione con il dott. Reiter negli Stati Uniti è stato identificato come possibile trattamento dell’epilessia nella Dup15q, un farmaco peraltro già sul mercato, utilizzato nella cura di altre malattie. Sono in corso contatti con la ditta farmaceutica che produce tale farmaco per una possibile sperimentazione su pazienti affetti da epilessia nella sindrome Dup15q.

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