La storia di F....

Questa è la storia di F., che è anche la storia nostra. F. è il nostro secondo figlio, nato nel 1993, da noi voluto con tutto il cuore, anche se non eravamo più tanto giovani. Il nostro primo bambino era nato quasi due anni prima. La gravidanza e il parto di F. sono andati senza nessun problema, passati quasi inosservati, visto che la vita di tutti i giorni era già abbastanza piena con il fratellino. I problemi per me sono iniziati subito dopo il parto: al secondo giorno di vita me lo hanno portato via in un altro ospedale, perché qualcuno aveva visto qualcosa che poteva essere una crisi epilettica. E’ rimasto là per dieci giorni, lo vedevo attraverso la finestra, sul suo lettino con flebo e vari fili attaccati, e non me lo facevano allattare. Poi me l’hanno ridato come un bambino sano, ed io ci credevo.

Gli occhi di una mamma qualche volta sono ciechi: F. era un bambino particolarmente immobile e silenzioso, quasi assente, e il suo sviluppo già dai primi mesi era fuori dalla norma. Ma soltanto quando il nostro pediatra e anche gli amici insistettero, cominciai a reagire, e iniziò l’odissea infinita dai dottori. Nell'ospedale dove era stato ricoverato subito dopo il parto lo hanno misurato, pesato, lo hanno fatto anche vedere alla fisioterapista, ma non sono stati subito in grado di capire il carattere e la causa del suo ritardo. Il risultato positivo delle ricerche genetiche non mi è mai stato comunicato a causa di un disguido all’interno dell’ospedale. Nel frattempo però, fortunatamente per F., noi ci siamo mossi per conto nostro. A otto mesi circa ha iniziato la riabilitazione psicomotoria, che indipendentemente da qualsiasi possibile diagnosi ha stimolato F. a prendere contatto con il mondo intorno a lui. Grazie a questo aiuto ha iniziato non solo a sviluppare la parte fisica, vincendo l’ipotonia, ma anche a percepire che esisteva il mondo, incluse le altre persone. F. ha iniziato a frequentare l’asilo prima possibile, con una persona di sostegno tutta per lui, faceva ippoterapia e musicoterapia. A quattro anni ha iniziato a camminare. E ha iniziato a rispondere anche ad un sorriso.

Ci siamo impegnati a capire di che cosa avesse bisogno e come comprenderlo. Giocavamo e ridevamo con lui quando era possibile, e lo confortavamo, quando era frustrato è in genere perché non capivamo quali erano i suoi bisogni. Lui non chiedeva mai tanto, solo cose di base, e cresceva come un piccolo ragazzo felice. A quattro anni e cinque mesi sono iniziate le crisi epilettiche. Scossi nella nostra routine di tutti giorni lo abbiamo portato in un altro ospedale, cercando persone più competenti e più serie. Gli accertamenti furono rifatti, e fu fatta anche una valutazione generale delle sue capacità, sia fisiche, sia mentali ed emozionali. Noi potevamo parlare con dei medici che vedevano F. come una persona intera e complessa, sotto ogni punto di vista, valutando sia il lato caratteriale proprio di F., sia quello legato alla sindrome. Sono stati in grado di mettere tutto questo anche in relazione con noi. Là abbiamo trovato le prime e scarse informazioni sulla sua sindrome. Aveva quasi cinque anni quando ci hanno comunicato la diagnosi. F. ha avuto la fortuna di poter frequentare un centro di alto livello nella riabilitazione e terapiste non solo ben specializzate ma anche di grande umanità verso i ragazzi. Ma nonostante tutti gli impegni e tutti gli sforzi, i progressi di F. bisogna vederli con tanta pazienza (e delle volte ci vuole anche una lente di ingrandimento…). F. ora ha più di 14 anni, è in piena pubertà, alto quasi come me, e delle volte più forte. Porta sempre il pannolone e non parla.

E’ rimasto una sfida capirlo. Lui ora cerca il contatto con noi, e sa essere molto affettuoso, anche se le sue carezze possono essere delle volte pesanti. Gli piace arrampicarsi dappertutto, adora la musica e correre. Il suo giocattolo preferito è l’acqua. In tutto questo F. è sempre rimasto una persona abbastanza felice e contenta con poco. Delle volte mi sembra che sono più io quella turbata: sofferente perché le aspettative che avevo io per lui non saranno realizzate; nel non accettare quello che per lui è la normalità, nel chiedermi cosa sarà del suo futuro quando non ci saremo più, nel dispiacermi per le cose che lui non potrà mai fare o avere: innamorarsi, studiare, creare una propria famiglia… Ci vogliono nuovi goal nella vita con lui. Ma sono anche cresciuta insieme a lui. Ora so che F. non è una parte di me, ma che ha la sua propria vita, della quale io sono responsabile solo fino a un certo punto. Farà il mio meglio, e questo comprende anche cercare di stare bene, se non altro per essere all'altezza di sostenere lui. Prenderà per me quello che lui mi sa insegnare: che la vita non finisce, se tu hai un bambino speciale, ma continua, solo diversamente. Che ci sono tante persone belle in questo mondo, che ti aiuteranno, e che tu diventerai più forte. Che niente nelle vita è scontato, e che va bene chiarirsi la mente da tutte le cose superflue e vuote, per fare posto ad esperienze importanti che ti fanno crescere.

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